giovedì 29 aprile 2010

Fake


Pensava. Pensava forte. La mano destra presagiva una piccola impronta appiccicosa che sarebbe comparsa di lì a poco. Il pavimento sotto le sue scarpe gommose era diviso in sgraziati parallelepipedi sgranocchiati dalle tristi passeggiate nel corridoio. Erano partiti dall'illusoria purezza del bianco per attraversare timorosi il ponte dell'ocra e scorgere in lontananza un pacato cioccolato.
Le ricordavano l'attesa dalla parrucchiera della mamma, occhi bassi, schiacciati a terra dalla noia e dai fumi chimici degli spray. Erano gialle e marroni e tentava di ricordare come si faceva quel gioco. Sì, quello che richiedeva gessetti sull'asfalto e rettangoli e un sasso. Non era mai riuscita a capirlo e non l'aveva mai trovato divertente. Campana!
Guardare attraverso quel vetro era l'unico momento veramente suo, vedeva le corse frenetiche degli insetti, ma non le poteva sentire, non le poteva toccare.
Immaginava così lo sguardo dei suoi bimbi scettici: se lo vedo soltanto, può anche non esistere.
Ostacolo trasparente sul mondo come una parete da scalare, ma senza appigli. Comparsa dal nulla e sempre ferma.

Le grandi città sono un melting pot obbligato e coloro che le abitano sono gli ultimi ad accorgersene. Ecco perché non sono degni di lode più di altri cittadini.



"Neanche quel pomeriggio leggemmo. Prese a spiegarmi che di tanto in tanto gli veniva voglia di lavorare, una smania, un desiderio di fare qualcosa, non tanto studiare quanto avere un posto di responsabilità, di fatica, ma darci dentro giorno e notte per diventare un uomo come noialtri, come me. - E tu lavora, - gli dissi - Sei giovane, fossi io al tuo posto -. Mi disse allora che non capiva perché la gente esaltava tanto i giovani: lui avrebbe voluto avere già trent'anni - tanto di guadagnato - erano stupidi quegli anni intermedi.
- Ma tutti gli anni sono stupidi. E' una volta passati che diventano interessanti."
C.Pavese-La spiaggia




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